La capacità di raccontare il B2B può essere incisiva come accade nel B2C? Apparentemente si secondo questo spot General Electric, che è un caso eccezionale nle settore. Abbiamo visto il potere dello storytelling come nuovo modo di coinvolgere parti del brand parlando direttametne a loro: P&G e Guinness.
Apparentemente questa cosa è più complessa per aziende che producono beni industriali, sia perchè spesso prodotti e servizio sono meno “affascinati”per gli utenti finali, sia perchè le logiche di acquisto sono differenti, al punto da fare pensare che lo storytelling sia inutile.
Il video si intitola “My mum works at GE” ed illustra il punto di vista di una bimba che spiega in parole semplice (come una bimba appunta) quali sono i benefici dei prodotti e servizi GE (proposizione di valore) e alla fine di GE stessa (quasi in ottica Corporate Social Responsability).
Questo spot sfida entrambi i luoghi comuni. In primo luogo, ricorda che i beni industriali alla fine portano un vantaggio a tutti i consumatori finali e quindi come tali possono essere oggetto di comunicazione dei beneific. La bambina, poi, è geniale: obbliga a spiegare in termini banali servizi complessi e scatena il legame emotivo necessaria ad “attivare” lo storytelling.
Il secono aspetto è meno ovvio. Perchè fare B2B storytelling? Perchè sempre di più anche il B2B ha una presenza pervasiva del digitale nel processo di acquisto. Idecisori B2B fanno proprie logiche di acquisto che usano nel loro tempo privato come consumer. Se è vero che il ciclo di acquisto B2B è diverso, è anche vero secondo una ricerca Google, che la prima fase del ciclo B2b sta diventando online: anche per prodotti complessi, i decisori si informano online, vedono siti, rcensioni e prodotti come fanno per i prodotti acquistati in privato.
Ovviamente in questo caso, la parte online serva a capire con “quali” fornitori ha senso ingaggiarsi e spendere tempo non per chiudere la transazione. Per Google, i decisori oggi ritardano il momento dell’ingaggio (telefono/presentazione) del fornitore preferendo prima pre-verificare qualità, contenuti, reputazione e risorse disponibli. Solo a valle di questa fase ingaggiano il contatto quando hanno idee più chiare e con obiettivi precisi. Il rischio è ovvio: se non si è digitalmente autorevoli, si potrebbe non essere neanche considerati e chiamati per la seconda fase del ciclo di acquisto.
Altro dato interessante è che in un mercato B2B ccompetitivo, sempre di più le aziende cercano di capire l‘utente finale per riprogettare al meglio prodotti e servizi basati sulle loro esigenze e non lasciando quest’orecchio d’ascolto in mano al “canale”: un errore costato caro a qualche azienda. Parlare ai consumator raccontandosi è frutto dell’attenzione a capirli.
Infine, non va tralasciata la componente “emotiva“: siamo tutti umani ed anche chi acquista una turbina complessa, con gli alti rischi di progetto associati (e gli alti costi), non è immune alla reputazione dell’azienda ed è influenzato, a parità di altri fattori tecnici, da un brand che dia fiducia. Insomma , quando i prodotti/servizi sono complessi e si rischia la carriera, avere la percezione di affidarsi al brand giusto aiuta
Come ha detto il CMO di GE, “BtoB does not mean boring to boring“.
Pubblicato da Carlo Arioli